Dai dispositivi indossabili, come il classico braccialetto che misura il diabete o la pressione sanguigna, oppure il cinturino che dà la sensazione di avere un personal trainer al polso, agli elettrodomestici “intelligenti” – dalle lavastoviglie ai frigoriferi alle lavatrici – in grado di essere controllati da remoto in piena comodità e sicurezza. Strumenti ai quali l’agenzia per l’innovazione del Regno Unito – Technology Strategy Board – crede molto, tanto da comunicare la volontà di investire ulteriori 1,6 milioni di sterline (oltre ai 6,4 milioni già annunciati) nelle tecnologie applicate ad oggetti “intelligenti”, di utilizzo quotidiano, collegati alla rete e in grado, soprattutto, di interagire tra loro (qualora, ovviamente, sia stata stretto un accordo tra le aziende coinvolte). L’investimento, nello specifico, sarà volto alla promozione del consorzio (HyperCat) formato da oltre 40 aziende britanniche, che dovrà sviluppare nuovi standards riconosciuti e accessibili nell’ambito dell’Internet of things. Attualmente infatti, non vi è alcuno standard universale attraverso cui questi oggetti intelligenti possono comunicare tra loro: gli sviluppatori di devices connessi fino ad oggi si sono affidati alle APIs (Application Programming Interfaeces), per far interagire un sistema con un altro.
Si prevede che entro il 2020 questa tipologia di articoli innovativi toccherà i 50 miliardi di unità. Da parte sua, il Regno Unito si conferma particolarmente sensibile alle novità in materia, tanto da promuovere un , che può contare su uno stanziamento governativo di 8 milioni di sterline, ottenuto attraverso il Technology Strategy Board, per sviluppare un percorso di sviluppo comune a livello nazionale. Ad oggi, infatti, non esiste una normativa specifica “universale” in grado di regolare questo settore. Dunque, i produttori di dispositivi capaci di connettersi, devono fare affidamento all’interfaccia di programmazione di un’applicazione (Api), ovvero a quegli strumenti che le grandi aziende mettono a disposizione degli sviluppatori con l’obiettivo di agevolare il loro compito nella realizzazione di applicazioni di vario genere.
Aziende come Google, che proprio all’inizio dell’anno annunciava l’acquisizione – per 3,2 miliardi di dollari – di Nest Labs, la società fondata da Tony Fadell che già nel 2011 aveva mostrato al mondo la prima versione di Nest, un termostato “intelligente” capace di gestire nel migliore dei modi la temperatura; uno strumento al quale, alla fine del 2013, aveva fatto seguito il Nest Protect, che funge come sistema di allarme antincendio ed è in grado di rilevare nell’aria la presenza di fumo e quella di monossido di carbonio, che in alte concentrazioni può determinare conseguenze drammatiche. Due strumenti che potrebbero anche arrivare ad interagire, perché – come sostengono dal consorzio HyperCat – “l’obiettivo che occorre perseguire è quello di creare un world wide web dedicato alle macchine”.