E’ noto che le aziende cinesi hanno difficoltà a muoversi sul
mercato americano, per timori legati alla sicurezza delle reti di
telecomunicazione nazionali e allo spionaggio industriale. Ma la
causa intentata da Motorola contro Huawei Technologies per presunto
furto di segreti industriali ha i contorni del film poliziesco.
Tutto comincia dal contenzioso aperto nel 2008, quando Motorola
accusò cinque suoi ex dipendenti di aver rivelato informazioni
sensibili alla Lemko, società rivale che ha un accordo di vendita
con Huawei. Ora il produttore americano ha rivisto i termini
dell’accusa e ha presentato presso una corte federale di Chicago
un nuovo documento in cui sostiene che la Lemko è stata creata con
il preciso scopo di passare informazioni riservate di Motorola al
vendor cinese.
Secondo Motorola, Huawei e il suo fondatore Ren Zhengfei, ex
ufficiale dell’Esercito popolare di liberazione, hanno cominciato
nel 2001 a collaborare con alcuni impiegati di Motorola di nascita
cinese, accettando da loro dati confidenziali sulle tecnologie del
produttore americano. Una dozzina degli impiegati “corrotti”
avrebbe creato nel 2002 la Lemko, pur continuando a lavorare per
Motorola, rubando segreti industriali dell'americana e
passandoli in parte a Huawei nel corso dei successivi cinque
anni.
La "Mata Hari" dell'Ict si chiama Jin Hanjuan.
L'ingegnere, attualmente sotto processo negli Stati Uniti per
il reato di spionaggio economico su territorio americano, secondo
Motorola ha lavorato per la Lemko nel 2005 pur continuando a essere
ufficialmente un'impiegata dell'azienda americana. Un reato
che, se confermato, potrebbe costringere l'ingegnere in carcere
per anni.
Un’indagine dell’Fbi citata nella causa di Motorola (e da cui
sono partiti tutti i sospetti dell’americana) rivela che la Jin
è stata arrestata all’aeroporto O’Hare di Chicago nel 2007 con
la classica valigetta contenente cataloghi dell’esercito cinese e
1.300 documenti di carta o elettronici rubati a Motorola e
segnalati come riservati perché contenevano informazioni sulle sue
tecnologie.
L’accusa contro la Jin, contenuta in una causa penale separata da
quella, civile, di Motorola (e che non implica che Huawei abbia
avuto diretti contatti con la Jin) afferma che la donna è stata
assunta da una fantomatica “Company B”, con sede in Cina, e ha
“contribuito alla difesa nazionale cinese e ha sviluppato
prodotti e tecnologie di telecomunicazione per l’esercito
cinese”, come riporta il Financial Times. Inoltre, la Jin sarebbe
stata introdotta nella fantomatica “Company B” da Pan Shaowei,
ex dipendente Motorola poi divenuto chief technology officer della
Lemko. L’ufficio del procuratore generale di Chicago che segue la
causa non ha rivelato a chi si riferisca il termine “Company
B”.
Per Motorola è proprio Shaowei l’anello di collegamento tra la
Lemko e Huawei, che ha permesso il trasferimento di segreti
industriali all’azienda cinese. Il fatto che i documenti rubati a
Motorola fossero segnalati come “materiale confidenziale”
dimostra che "Huawei e i suoi manager sapevano che stavano
ricevendo dati rubati di proprietà di Motorola e informazioni
riservate senza il consenso e l’autorizzazione di Motorola”, si
legge nella causa.
Huawei ha naturalmente respinto ogni coinvolgimento: “Non abbiamo
alcun rapporto con la Lemko, al di là dell’accordo di vendita.
Huawei si difenderà con forza contro queste accuse infondate”,
ha dichiarato il vendor cinese. “Accuse come quelle di Motorola
sono molto difficili da provare”, fa notare intanto Connie
Carnabuci, esperta di proprietà intellettuale e socia dello studio
legale Freshfields a Hong Kong. "Inoltre la causa è intentata
in tribunale americano e qualunque sarà il verdetto non ha valore
in Cina”.