CONSOLIDAMENTO TLC

Vatalaro: “Meno regole per uscire dallo stallo”

Secondo il docente dell’università di Roma Tor Vergata il problema, europeo e italiano in particolare, è in un assetto regolatorio troppo rigido che penalizza investimenti e acquisizioni buone per il futuro dell’Europa

Pubblicato il 19 Mar 2014

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Pubblichiamo una serie di opinioni sul tema del consolidamento delle Tlc. In Europa la Francia ha aperto le danze con il “caso” Sfr, mentre in Italia sembra sfumare il matrimonio Wind-3. E nonostante il flop di Bip Mobile si fanno strada nuovi operatori virtuali. Il nostro Paese rappresenta un’anomalia? O è ancora presto per i merger?

O l’Europa riduce il carico delle regole sugli operatori che investono o farà la fine della preda: “saranno i nostri operatori che, invece di consolidarsi a livello europeo, finiranno acquisiti da colossi extra Ue. E in Italia la situazione è particolarmente debole, per via delle regole e dell’eccessiva frammentazione che ne deriva. Quattro operatori mobili, per esempio, sono troppi”. Francesco Vatalaro, professore ordinario di Telecomunicazioni all’università Tor Vergata di Roma, ritiene che le regole europee debbano cambiare approccio prima che sia troppo tardi.

In Italia siamo in uno stallo, mentre altrove in Europa è un boom di acquisizioni.

In Italia non sta succedendo niente per il problema di Telecom Italia. Per la difficoltà di capire come si posizionerà l’azienda nei prossimi mesi. Credo che il problema regolatorio sia particolarmente pesante in questa fase, in Italia. Ma in realtà è un problema più generale, che riguarda tutta l’Europa. Un segnale importante: AT&T ha dichiarato di non avere più interesse a investire in Europa. Ha fatto diversi tentativi di acquisizioni, perché sa l’Europa ora deve investire nelle nuove reti e quindi la scommessa su questo mercato può aver senso. Ci ha rinunciato perché in Europa- e in Italia ancora di più- siamo ingessati a livello regolamentare. Ecco, questo è il problema di fondo, che ha conseguenze ben più gravi della fuga di AT&T. Abbiamo perso molta strada nei confronti degli Stati Uniti, per colpa di regole che ci bloccano il settore telco. Le nostre imprese non sono in grado di crescere e di investire.

Ed è favorevole al consolidamento, come risposta a questa debolezza?

Dipende. Io sono favorevole a un consolidamento dove l’Europa fa da protagonista. Invece non so quanto convenga all’Europa un consolidamento adesso. Il nostro è un mercato debole, con attori gravati da debiti e quindi in una corsa delle acquisizioni le nostre aziende finirebbero comprate da colossi stranieri. Vodafone sarebbe la sola eccezione. Le altre aziende europee non si consoliderebbero ma “sarebbero consolidate” da soggetti extra europei, insomma. In altre parole rischieremmo, in questa fase, di subire il consolidamento, non di cavalcarlo. L’Europa quindi perderebbe asset strategici, non solo dal punto di vista economico ma anche culturale, politico.

Come si può risolvere questo dilemma?

Torniamo al punto iniziale: c’è un problema di regole. L’America è ripartita nel 2005 abbattendo l’unbundling. Le imprese europee devono abbandonare un concetto culturale secondo cui le risorse devono essere reperibili a costi bassi, garantiti. Dovrebbe invece ridurre il carico regolatorio. Cioè eliminare le cosiddette regole ex ante e valutare la concorrenza solo con regole ex post, gestite dall’Antitrust. Altrimenti le regole sono una forma di protezionismo in cui le aziende non sono stimolate a competere. Questo può andare bene quando le aziende sono piccole in un mercato nascente, ma ora che gli attori sono colossi mondiali dobbiamo cambiare approccio. Per riassumere, le regole vanno fatte a livello europeo, non nazionale, ed essere minori.

In Italia che cosa prevede per i prossimi mesi, su questo fronte?

Così com’è la situazione ora, potrebbero avvenire consolidamenti interni. Tre operatori mobili possono essere sufficienti, infatti. Ma lo scenario più interessante sarebbe se le regole venissero alleggerite. Allora, i grandi operatori alternativi potrebbero competere solo se hanno le risorse per farlo; se non le hanno, venderanno a chi le ha, innescando un circolo virtuoso di investimenti e crescita per il Paese.

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