L'EDITORIALE

Mef-Vivendi, il silenzio non fa che alimentare le speculazioni

Bocche cucite a seguito dell’incontro fra il ministro Giorgetti e i vertici Bollorè e de Puyfontaine. Nemmeno una stringata nota, come si usa fare di prassi, per comunicare non tanto gli esiti ma almeno il clima delle negoziazioni. Una strategia che inevitabilmente fa pensare a tutto e al contrario di tutto. E così se per qualcuno si sarebbe trovata la quadra per qualcun altro tutto è in alto mare

Pubblicato il 06 Ott 2023

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Che cosa si sono detti il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e i vertici di Vivendi Yannick Bolloré e Arnaud de Puyfontaine? Nessuno lo sa e soprattutto nessuna delle parti in causa vuole farlo sapere. Nemmeno una stringata nota da parte del Ministero, due righe di prassi per comunicare non tanto gli esiti ma almeno il clima delle negoziazioni. Niente di niente.

Una modalità che sarà stata “studiata” e condivisa dalle parti in causa probabilmente per evitare di alimentare le speculazioni ma l’effetto inevitabile è stato quello di farle aumentare. Così se il silenzio è stato interpretato da alcuni come un buon segno, da altri è considerato come niente di buono. E intanto all’indomani dell’incontro il titolo Tim ha perso oltre l’8% attestandosi a 26 centesimi dopo la faticosa rimonta alla soglia dei 30 centesimi nelle scorse settimane.

Le tesi e le controtesi

C’è chi sostiene che Vivendi non intende chiudere la partita della vendita della rete: i 20 miliardi offerti da Kkr non sono sufficienti e sul futuro di ServiceCo incombono troppi macigni. E poi c’è chi sostiene invece che i francesi considerino soddisfacente l’offerta degli americani in combine con quella del Governo e che è sui dettagli che si sta ragionando per affinare il dossier e chiudere la partita. E ancora: per alcuni rispunta l’ipotesi di un coinvolgimento di Poste Mobile in ServiceCo – che presupporrebbe quindi un’uscita totale di scena da parte dei francesi – per altri non c’è verso di evitare l’aumento di capitale. E c’è chi ipotizza che Vivendi abbia messo sul tavolo come conditio sine qua non un management condiviso e che addirittura ci sarebbe incertezza l’attuale amministratore delegato Pietro Labriola. Insomma chi più ne ha più ne metta.

L’unica notizia attribuita a “fonti” governative da parte di Bloomberg e Reuters dà per confermato l’interesse nella vendita della rete di Tim da parte del governo. La fonte ha definito infondato quanto riportato da La Repubblica in merito a una soluzione industriale per Tim che non comporti la vendita della rete. In particolare, il quotidiano aveva riferito che Vivendi avrebbe offerto al Mef  “di salvare Tim senza vendere la rete” e sottoposto al ministro Giancarlo Giorgetti una proposta “che esclude un aumento di capitale ma che passerebbe da un nuovo cambio di management”.

Rispunta l’ipotesi Poste

A proposito dell’ipotesi Poste secondo gli analisti di Intermonte “è prematuro elaborare su un coinvolgimento e un’aggregazione futura tra Tim Consumer e Poste Mobile: quest’ultima operazione potrebbe garantire interessanti sinergie commerciali facendo leva sulla capillarità degli uffici postali e sulla contestuale razionalizzazione dei negozi Tim e sulla possibilità di aumentare il crosselling di Poste (bundle integrati di connettività fisso-mobile e servizi finanziari BancoPosta), ma allo stesso tempo comporterebbe un’elevata concentrazione di personale (Poste ha circa 120k dipendenti, mentre Tim Consumer 14k e punta a ridurli a 11k entro fine 2026), per cui sarà fondamentale definire i perimetri delle attività in un’eventuale combinazione”.

Il titolo Tim al ribasso e Deutsche Bank consiglia il “sell”

Quel che è certo invece è che nella giornata dell’incontro Mef-Vivendi il mercato è andato in direzione contraria all’ottimismo: il titolo Tim ieri ha perso in Borsa oltre il 3% ed è arrivata anche la stangata di Deutsche Bank che ha rivesto il rating hold a sell, vendere dunque, con un target price ribassato a 0,23 da 0,3 centesimi. Secondo gli analisti il nodo è ServiceCo ma viene valutata anche l’ipotesi di un nulla di fatto sul dossier della rete: “Se l’operazione non si concretizzasse, Tim si troverebbe esposta a una debole storia organica, caratterizzata da un’elevata leva finanziaria e da perdite di free cash flow fino al 2027”.

Secondo l’istituto tedesco ci sono dunque rischi crescenti che, “includono un aumento dei proventi della cessione di NetCo, un consolidamento con rimedi limitati o una ristrutturazione sostanziale delle ServeCo”. Il prezzo delle azioni di Tim “ha sovraperformato rispetto al settore del +35% nell’arco di un anno, anche se in un contesto di leva finanziaria (debito netto 3,3 volte la capitalizzazione di mercato) e di una sottoperformance delle azioni nei due anni precedenti”.

Inoltre, “Tim non ha detto se gli azionisti voteranno sulla cessione di NetCo e ci aspettiamo che venga fatta chiarezza una volta che il consiglio di amministrazione avrà preso posizione sull’offerta”.

Labriola: “Mai necessità di investimenti come ora”

Intanto ieri l’Ad di Tim Pietro Labriola intervenendo a un evento ha detto che Tim è “il primo (ex) incumbent a fare la separazione della rete ma i semi di questo approccio sono stati gettati negli anni passati. Quand’è l’ultima volta che abbiamo avuto davanti la necessita di investimenti così elevati come ora? Non ha precedenti se non quando abbiamo costruito la prima rete in rame ma allora la spesa era garantita. L’attuale modello di regole non permette di garantire il ritorno” ribadisce come fatto spesso negli ultimi mesi.

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