Web tax, né nazionalismo né anarchia

I big player della net economy sono spesso “apolidi fiscali”. Ma non solo loro. L’esplosione di Internet ha reso la situazione sempre più indigeribile per Paesi come l’Italia impegnati a far quadrare i conti. La web tax targata Boccia è figlia di tutto questo. Sicuramente pone apertamente il problema. Ma il tema va affrontato in chiave almeno europea, non nazionale. Un’occasione per il semestre italiano

Pubblicato il 17 Feb 2014

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L’ircocervo è servito sul piatto del fisco. A dimensione globale. Animale mitologico metà caprone e metà cervo, è diventato cose assurde e irreali. Ma reali ai tempi di Internet.
A cosa se non a un ircocervo assomiglia infatti un apolide fiscale come Apple? La società di Cupertino ha dato fondo a tutta la sua capacità creativa non soltanto per proporre prodotti cult in tutto il mondo, ma anche per autoridursi con “trame e trucchi” (lo dice un rapporto del Congresso Usa) il carico fiscale a livelli impercettibili. Ad esempio stabilire la sede sociale (con fatturato e profitti) a Dublino e quella operativa in California. Negli Usa fiscalmente conta la sede sociale, in Irlanda quella operativa. Vantaggio dell’ircocervo? Una esenzione fiscale pressoché totale visto che per gli irlandesi Apple è americana ma per gli americani è irlandese.

Apple non è la sola. Un po’ tutti i big player della net economy fanno cose simili. Nel 2012, stima il Financial Times, le prime 7 web company presenti in UK hanno versato 54 milioni di sterline di tasse contro 15 miliardi di ricavi. Google avrebbe eluso 2 miliardi di dollari di prelievo grazie ad un accurato slalom societario.

E non sono solo loro: basta guardare l’esterovestizione di moltissime società italiane (tradizionalissime o tecnologiche che siano) per realizzare che quelli delle web company non sono giochetti solitari né particolarmente nuovi.
L’esplosione di Internet e degli scambi globali senza frontiere hanno però reso la situazione sempre più indigeribile per Paesi, come l’Italia ma non solo, impegnati a far quadrare i conti e gestire gli impatti sul welfare di crisi economica e trasformazioni tecno-sociali dirompenti.
Soldi che svaniscono per le casse degli Stati, ma anche vantaggi competitivi nei confronti delle aziende che le tasse sono costrette a pagarle. La web-tax italiana targata Boccia è figlia di tutto questo. Al di là dei giudizi di merito (secondo noi è impostata male ed è stata giustamente congelata), ha però avuto il pregio di porre apertamente il problema. Ma il tema va affrontato in chiave almeno europea, non nazionale. Un’occasione per il semestre italiano.

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