Depositati oggi alla Camera gli emendamenti all’articolo 10 del Decreto del Fare sul “wi-fi libero”. Era l’ultimo giorno disponibile e, come preannunciato, Stefano Quintarelli (Scelta Civica) e Antonio Palmieri (Pdl) hanno rispettato la scadenza. Nei giorni scorsi si era detto che l’emendamento sarebbe stato presentato da Quintarelli e sottoscritto (sia “moralmente” sia con carta e penna) dal pidiellino. Alla fine Palmieri ne ha depositato uno proprio, pur ribadendo di condividere le intenzioni del collega.
In particolare Stefano Quintarelli propone di abolire tutto il comma 1 dell’articolo 10, la prima frase del comma 2 e di introdurre la parola “wi-fi”, finora mai usata nel testo.
E anche il governo ha presentato un suo emendamento. Già pochi giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del Decreto del Fare, il Mise, con l’emergere delle prime critiche, aveva ammesso che esistevano punti non chiari e aveva annunciato “una circolare e un video per chiarire i termini”. Alla fine l’esecutivo ha però scelto la via parlamentare, evidentemente perché una circolare non sarebbe sufficiente a sanare la questione.
Adesso spetta alle commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio e Tesoro) della Camera valutare l’ammissibilità degli emendamenti, operazione che dovrebbe essere portata a termine nei prossimi giorni. Una volta superato questo step, toccherà alle singole commissioni competenti prenderne in esame il contenuto. Ma sui tempi è ancora difficile pronunciarsi.
Finora il testo, così come è uscito dalla penna del legislatore, ha suscitato perplessità e critiche da parte di addetti ai lavori, associazioni di categoria, giuristi, politici e, da ultimo, del Garante della Privacy. Innanzitutto, come hanno fatto notare in molti, non fa mai esplicito riferimento al wi-fi, mentre cita “l’accesso a Internet” tout-court: frase che, secondo alcuni giuristi, potrebbe far intendere che il decreto estenda l’ambito di applicazione agli operatori tlc e alle sim dati.
Poi il Garante per la Privacy ha rilevato che il testo “reintroduce obblighi di monitoraggio e registrazione dei dati”, gli stessi stabiliti dal decreto Pisanu, che però è decaduto nel 2010 (dopo essere stato introdotto anni prima in funzione anti-terrorismo).
Inoltre l’Authority ha sottolineato che l’obbligo “di tracciare alcune informazioni relative all’accesso alla rete (come il cosiddetto ‘indirizzo fisico’ del terminale, Mac address” contiene un profilo di illegittimità perché questi dati “a differenza di quanto sostenuto nella norma, sono – ai sensi della Direttiva europea sulla riservatezza e del Codice privacy – dati personali, in quanto molto spesso riconducibili all’utente che si è collegato a Internet”.
Contestazioni sulla questione del Mac Address sono arrivate anche da parte di Assoprovider, che ha fatto notare come sia facilmente falsificabile.
Simili critiche le ha formulate in questi giorni anche Massimiliano Trovato della Fondazione Bruno Leoni, che parla di “notevoli perplessità” suscitate dai due commi. Poi però sottolinea: “Tra tante ombre è doveroso citare la luce del terzo comma, che abolisce l’obbligo per le aziende di affidarsi a imprese abilitate anche per le più banali operazioni connesse all’installazione e alla manutenzione di reti. Si trattava di un’assurda misura protezionistica, peraltro assistita da sanzioni ingentissime che potevano arrivare a 150.000 euro. Non sarebbe, anzi, inopportuno ipotizzare una disciplina transitoria per le eventuali sanzioni già comminate ma non ancora saldate”.
Dopo la presentazione degli emendamenti Iwa Italy, che con Stati Generali Innovazione ed altre associazioni ha partecipato alla loro raccolta, ha affermato: “Abbiamo riscontrato interesse verso il lavoro svolto da parte di parlamentari di qualsiasi colore politico: segno che gli emendamenti proposti da esperti del settore sono politicamente indipendenti e di qualità. Un’esperienza da ripetere per i prossimi decreti legge”.