Caos sul Wi-Fi libero, dopo il comunicato da parte della Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) che annuncia la deregulation del Wi-Fi nei pubblici esercizi. “Sulla vicenda è stata fatta un po’ di confusione tra diversi aspetti – dice Luca Fronzoni, responsabile commerciale di WiSpot – Si è fatta confusione tra identificazione dell’utente, responsabilità del gestore del locale, privacy e autorizzazioni”. Secondo la Fipe, forte di un parere del Garante della Privacy, i gestori di bar e ristoranti non hanno più l’obbligo di registrare i dati personali dei clienti che si collegano alle loro reti wireless nei locali e non devono più preoccuparsi di autenticazione o sistemi di logging. Dopo l’intervento di Guglielmo e Futur3, oggi è la volta di WiSpot, piattafroma per hotspot Wi-Fi dedicata ai locali pubblici con 1500 location attive in Italia.
“In seguito all’abrogazione dei commi 4 e 5 (e modifica del comma 1) del Decreto Pisanu sono venuti meno l’obbligo di richiesta di autorizzazione alla questura, quello di identificazione dei soggetti ai quali si fornisce il servizio e quello di tracciamento delle connessioni – dice Fronzoni – Questo non significa che possa essere eliminata qualsiasi forma di controllo e che gli esercenti siano “magicamente” sollevati dal rischio di dover rispondere di eventuali attività illecite dei propri clienti”.
“Va da sé, invece, che per raccogliere e utilizzare i dati personali di chi si connette alla rete è necessario richiedere e ottenerne il consenso ed è questo l’unico vero aspetto sul quale si è espresso il Garante”, aggiunge Fronzoni.
“Ci teniamo inoltre a sottolineare che chiunque metta a disposizione un hotspot Wi-Fi al pubblico, e non sia un soggetto che abbia quello come business prevalente, non è equiparato a un Internet Service Provider – continua Fronzoni – Non è quindi necessario che un bar, un ristorante o un negozio si iscrivano al Roc (il Registro degli Operatori di Comunicazione). Tuttavia, il Codice delle Comunicazioni impone ai soggetti che offrano connettività in ambito pubblico di dotarsi di una licenza ministeriale, licenza che non è necessario ottenere qualora ci si rivolga a un operatore specializzato che gestisca il servizio all’interno della struttura”.
“Offrire l’accesso a Internet in un locale aperto al pubblico non significa tenere aperto un rubinetto incontrollato – chiude Franzoni – ma poter disporre di un nuovo canale di comunicazione con i propri clienti, finora quasi inesplorato. Un canale in grado di procurare agli esercenti benefici notevoli in termini di immagine, di fidelizzazione della clientela e di ricavi, sia diretti che indiretti”.